Lo scorso 19 novembre la Giunta Regionale siciliana ha pubblicato le “Linee guida per il contrasto e la prevenzione nella Regione Siciliana del fenomeno del randagismo” che precorrono la nuova legge regionale che andrà a sostituire quella del 3 luglio del 2000. In queste dieci pagine si trovano molte buone intenzioni non sostenute, però, da una reale base di attuabilità. Alcune proposte positive, come quella di vedere l’evoluzione del canile in “parco canile”, o evitare che siano i volontari delle associazioni a farsi carico di animali soccorsi vaganti o incidentati, non potranno mai diventare realtà senza che a monte venga applicato quanto già previsto dalla legge 281. La grave mancanza che riscontriamo in questo testo è proprio questa: sembra non considerare la realtà dei fatti, una realtà fatta di istituzioni ed enti inadempienti.
Per trasformare l’attuale situazione siciliana in termini di gestione del randagismo è sicuramente importante puntare in alto, ma il primo passo deve essere accertarsi che la base della piramide dei doveri istituzionali sia solida, altrimenti non si arriverà mai a posare l’ultimo mattone sulla cima, quello che permetterà finalmente di parlare in termini concreti di benessere animale e serena convivenza uomo-animale. Fino a quando saranno solo le associazioni di volontariato a essere messe sotto esame, mentre amministrazioni comunali e Asp continuano a non ottemperare agli obblighi che hanno per legge, la base della piramide sarà sempre troppo fragile. Riteniamo imprescindibile che il mondo del volontariato sia regolamentato, tuttavia va fermata la dinamica insana secondo la quale laddove non arrivano le istituzioni, devono compensare le associazioni. L’opera dei volontari deve infatti essere il grande valore aggiunto che va a chiudere il circolo virtuoso innescato dal lavoro di chi, come previsto dalla legge, ha soccorso un animale in difficoltà, l’ha curato e poi ospitato in condizioni adeguate al suo benessere fino all’adozione. Tuttavia al momento questo circolo non è virtuoso, ma vizioso: i volontari sono costretti a farsi carico di animali che, diversamente, sarebbero invisibili e morirebbero in strada o nei canili stessi, come documentato da centinaia di casi.
Impossibile inoltre non notare l’assenza totale di menzioni ad attività di sensibilizzazione e informazione della popolazione, soprattutto considerato che il principale affluente al grande bacino del randagismo è quello delle cucciolate indesiderate di cani padronali lasciati liberi di vagare senza essere sterilizzati né identificabili. Anzi: l’applicazione del microchip a cani adulti è persino scoraggiata prevedendo un’immediata sanzione a chi richieda di microchippare un cane oltre i sessanta giorni di vita. La proliferazione di cani vaganti a seguito di abbandono, sfruttamento e nascite incontrollate è da causata dall’estrema superficialità e irresponsabilità civica con la quale i cani vengono gestiti, nella maggior parte di casi dopo essere stati acquistati. Disincentivare la compravendita di cani, agevolare campagne di sensibilizzazione frequenti e mirate alla realtà locale per trovare punti di incontro reali per una corretta convivenza uomo-cane, vigilare sul rispetto delle leggi vigenti in termini di corretta detenzione, favorire campagne di sterilizzazione di massa per i cani di proprietà non custoditi, devono essere i primi imprescindibili step da attuare.
Senza un’analisi realista del quadro generale (includendo anche il randagismo felino, che non viene menzionato) anche le proposte valide resteranno solo belle parole. Senza declinare e specificare in maniera inequivocabile come attuare determinati buoni propositi, come prevedere la formazione per i volontari o evitare che i canili siano depositi di cani “dismessi” fonte di lucro per privati, il rischio concreto è non solo di non ottenere alcuna evoluzione, ma di alimentare una confusione generale che non favorirà mai il rispetto dei diritti degli animali.