In occasione della Giornata Mondiale per la fine della Pesca, che si celebra ogni anno l’ultimo sabato di marzo, vogliamo puntare i riflettori sull’impatto ambientale devastante di questa attività. Se in un passato molto remoto poteva rappresentare un utile mezzo di sostentamento, oggi non ci sono scuse: oltre a non essere un’attività accettabile dal punto di vista etico, la pesca odierna e industrializzata è un’attività distruttiva per l’ecosistema marino.
Sovrasfruttamento e catture accessorie
Negli ultimi decenni l’aumento della domanda di pesce ha portato a una pesca indiscriminata nelle acque di tutto il mondo. Secondo la FAO, oltre il 34% degli stock ittici globali è sovrasfruttato, mentre il quasi 60% è pescato al massimo della sua capacità. Questo significa che la maggior parte delle popolazioni di pesci non ha il tempo necessario per riprodursi e ripristinare il proprio numero, portando molte specie sull’orlo del collasso: quasi il 90% degli stock ittici mondiali è a rischio di esaurimento.
Un altro grave problema è rappresentato dalle pesche accessorie, il cosiddetto bycatch, ovvero la cattura accidentale di specie non target, tra cui tartarughe marine, delfini, squali e uccelli marini. Le reti a strascico, ad esempio, sono strumenti estremamente distruttivi che non solo intrappolano ogni forma di vita nel loro raggio d’azione, ma devastano anche il fondale marino, distruggendo habitat delicati come le barriere coralline. Sempre secondo la FAO, solo nelle acque italiane ogni anno si verificano oltre 52mila eventi di cattura di tartarughe Caretta caretta, con più di 10mila decessi dovuti a soffocamento o annegamento.
Pesca e inquinamento
L’industria della pesca ha un contributo enorme nell’inquinamento da plastica che affligge gli oceani, a causa di reti fantasma, attrezzi da pesca abbandonati o persi, plastica e microplastiche derivanti da imballaggi e attrezzature dispersi nelle acque. Ne parla in maniera approfondita il documentario Seaspiracy, illustrando una realtà a dir poco agghiacciante: sono 150 i milioni di tonnellate di rifiuti che galleggiano nei mari.
L’alterazione degli ecosistemi marini dovuta alla pesca aggrava anche la crisi climatica, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa del Pianeta. Sì, perché gli oceani producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, mentre assorbono circa un terzo delle emissioni di gas inquinanti create dall’essere umano. La pesca intensiva, però, riduce la capacità degli oceani di assorbire CO₂, aggravando il problema dell’acidificazione degli oceani. A questo si aggiunge che la pesca a strascico distrugge habitat marini fondamentali e rilascia grandi quantità di carbonio immagazzinato nei sedimenti, aggravando in maniera preoccupante il cambiamento climatico.
Gli allevamenti intensivi
Un discorso simile vale anche per gli allevamenti ittici intensivi, che impattano sull’ambiente in modalità differenti. Da una parte, rilasciano grandi quantità di rifiuti organici; dall’altra, immettono nelle acque antibiotici – usati per combattere e prevenire le malattie dovute al sovraffollamento – e sostanze chimiche di vario genere, portando ad alterazioni degli ecosistemi marini. A questo si aggiunge l’impatto concreto che la loro realizzazione ha nei mari, perché non è rara la distruzione di interi habitat naturali per fare spazio all’acquacoltura.
E la pesca “sostenibile”?
Dal punto di vista etico, naturalmente, non esiste un tipo di pesca migliore di un’altra, perché ogni vita conta e nessun animale dovrebbe essere vittima delle attività umane.
Anche dal punto di vista ambientale, però, l’idea di una pesca sostenibile non ha fondamento, perché di fatto non esistono metodi di pesca che non contribuiscano alla riduzione delle popolazioni ittiche, alla distruzione degli ecosistemi e alla cattura accidentale di specie non target.
La vera sostenibilità non si trova nella pesca, ma nella riduzione della domanda di pesce e nello shift dei consumi verso le alternative vegetali. La scelta di un’alimentazione plant-based è un’azione realmente sostenibile, concreta e alla portata di tutti per ridurre l’impatto sugli oceani.