Lana: la crudeltà nascosta dietro la sua produzione
Dietro al calore e alla morbidezza della lana si celano violenza e sfruttamento: ecco perché la lana è inaccettabile dal punto di vista etico.Quando si parla di abbigliamento, la convinzione comune è che la lana sia un materiale cruelty-free, dato che la sua produzione non comporta l’uccisione diretta degli animali coinvolti. Anzi, parlando di lana di pecora, l’idea è che la tosatura sia un procedimento sicuro e indolore, utile per gli animali per liberarsi del peso dei loro mantello. La realtà, però, è che la lana non è un materiale etico, perché la sua produzione è spesso molto più cruenta e dannosa per gli animali di quanto si possa immaginare.
Lana e allevamenti intensivi
Pensare agli allevamenti di pecore come oasi felici in cui gli animali vivono liberi, sereni e coccolati tra una tosatura e l’altra è, ovviamente, quanto di più lontano dalla realtà. Come qualsiasi produzione industriale che coinvolga gli animali, anche quella della lana si basa sull’allevamento intensivo, fatto di condizioni di vita stressanti e degradanti, nonché di pratiche dolorose e innaturali.
Nel caso della produzione di lana, uno dei problemi principali è proprio la tosatura: negli allevamenti intensivi ogni animale esiste per essere produttivo e l’obiettivo è di massimizzare il profitto. Ecco, quindi, che la tosatura diventa un momento molto stressante per le pecore, che vengono maneggiate in velocità, con poca o nessuna attenzione e subiscono quindi tagli, lacerazioni e perfino gravi infortuni agli arti. Non è raro (anzi, è spesso la norma) che le ferite non vengano trattate, causando alle pecore ulteriore sofferenza in caso di infezione.
La maggior parte della lana prodotta a livello mondiale proviene dall’Australia, dove è pratica comune il cosiddetto “mulesing”, ovvero l’asportazione senza anestesia di brani di pelle attorno alla coda delle pecore. Questo, per evitare infestazioni di larve di mosca, attratte dall’umidità e dal calore della zona, ricoperta di pieghe di pelle. Un altro metodo consiste nell’attaccare pinze sulla coda degli animali, bloccando l’afflusso di sangue e causandone la successiva, dolorosissima caduta.
A tutto questo si aggiunge la specificità dell’allevamento intensivo, fatto di animali oggettificati, privati della libertà e forzati a riprodursi, in un ciclo di nascite e sfruttamento continuo. Secondo PETA, “Entro poche settimane dalla nascita, agli agnelli vengono bucate le orecchie, tagliate le code e i maschi vengono castrati senza anestesia. […] Ogni anno, centinaia di cuccioli muoiono prima delle otto settimane di età per assideramento o fame, mentre le pecore adulte muoiono per malattia, mancanza di riparo e incuria”.
In generale, per quelle che sopravvivono, l’aspettativa di vita è ridotta a causa delle condizioni di sfruttamento. Entro pochi anni – molti di meno di quelli che vivrebbero in natura – le pecore sono mandate al macello perché sfiancate, malate e quindi poco produttive per la logica dell’allevamento.
Esistono alternative cruelty-free?
La buona notizia è che in commercio esistono molti materiali animal-free che eguagliano, e addirittura superano, la lana per prestazioni e durabilità. Tra questi non solo i materiali riciclati e sintetici, ma anche tessuti naturali come quelli ricavati dal bambù e dalla canapa. L’innovazione tecnologica ha permesso negli anni anche di creare una vera e propria lana vegana, identica a quella di origine animale ma completamente etica e sostenibile, perché realizzata in laboratorio con materiali plant-based. Il mercato delle fibre cruelty-free è in continua espansione e le alternative alla lana che siano di alta qualità, resistenti e confortevoli sono ormai alla portata di tutti.