“La libertà è il sogno. La schiavitù è la vita”. Queste semplici parole, dello scrittore francese Charles Régismanset, più di ogni altre sono in grado di darci un preciso, quanto malinconico, affresco di quella vita di schiavitù in cui vivono gli animali sotto il tendone, e le catene, del circo.
Una schiavitù marchiata sulla loro pelle fin dal giorno della nascita: non è un caso, infatti, che la maggior parte degli animali usati dai circensi vengono cresciuti e svezzati fin dalla più giovane età per poter asservire i guizzi degli addestratori e diventare degli involucri selvatici con l’animo da marionetta. Animali che di selvatico hanno solo l’aspetto, perché in sé, sono completamente snaturati: pensiamo cosa vuol dire per un animale sociale e familiare come l’elefante, che in natura crescerebbe ed estrinsecherebbe sé stesso proprio grazie ed attraverso le relazioni con gli altri membri della famiglia, crescere in un ambiente antropico, sballottato da un viaggio all’altro, addestrato per danzare o eseguire numeri assurdi. Cresciuti dalla nascita come burattini, la cui indole selvatica viene segregata con gabbie e catene, spezzata con metodi di addestramento spesso cruenti, gli animali del circo non possono fare altro che far nascere in noi un forte senso di tristezza, solitudine e disperazione.

Ma nonostante tutto, nonostante la dittatura che li opprime, nonostante i circensi millantino di trattarli con tutti i riguardi possibili (senza considerare, ricordiamo, che la peggiore schiavitù è quella in cui gli schiavi vengono “trattati bene”) c’è un qualcosa, in fondo, che riesce a resistere, nulla riesce a spezzarlo. Un barlume, per quanto fioco, non potrà essere mai abbattuto perché il desiderio di libertà è intrinsecamente connesso con ogni essere vivente, con ogni vita che non vuole fare altro che vivere. Questo barlume non sempre riusciamo a vederlo, perché può esprimersi in piccoli gesti quotidiani, piccoli atti di resistenza e di dissenso giornalieri. Ma ci sono volte che, impetuosa, la voglia di vivere si ribella in modo spettacolare, quasi come un urlo che squarcia il silenzio e che ci costringe a vedere quanta libertà è stata rubata a questi esseri viventi.

Le fughe dai circhi non sono nient’altro che questo: vite che rompono catene di oppressione, fisiche e mentali, un’esplosione di forza bestiale capace, per chi è prigioniero, di far pregustare la vita in libertà, ma anche un gesto catartico per chi osserva, perché è in grado di vedere un animale selvatico che, liberatosi del tutù, si mostra per chi ha sempre voluto essere. Tra le fughe più spettacolari degli ultimi anni, c’è quella avvenuta nelle acque di Santa Maria del Cedro, in Calabria (https://www.castedduonline.it/linfinita-tristezza-dellelefante-che-scappa-dal-circo-e-fa-un-bagno-al-mare-chi-e-la-bestia/):  qui, un elefante, forse uno dei più emblematici simboli della libertà negata ed oppressa, è sfuggito alle angherie dei circensi del circo Orfei, per buttarsi nel mare. L’immagine di questo elefante immerso nell’acqua, finalmente libero, è indubbiamente iconica e capace di smuovere tutti nel profondo. Un gesto di libertà spettacolare, puro e genuino, semplice ed infinitamente triste: un’immagine che ci fa capire la deprivazione a cui questi animali sono sottoposti, perché privati della possibilità di soddisfare anche un semplice desiderio che, liberi in natura, potrebbero tranquillamente perseguire. Dal sapore dolce amaro, però, queste fuga è terminata in poco tempo, con il ritorno dell’elefante tra i tendoni dei circensi. A volte, il finale è anche più tragico, come per il caso della giraffa Aleksandre che, nel 2012, era riuscita a scappare dal circo Martini in cui viveva, correndo all’impazzata, terrorizzata, per le strade di Imola (http://www.bolognatoday.it/cronaca/giraffa-morta-imola-circo-scappata.html). Nato e cresciuto in uno zoo „dove viveva in un’area di 10mila metri quadrati insieme ad altri ungulati, Aleksandre era stata venduto ad un circo quando ancora era cucciolo e aveva dovuto affrontare da solo un viaggio di 17 ore senza soste al termine del quale era arrivato in un ambiente completamente diverso e sconosciuto. Spaventato, ha quindi tentato una fuga disperata: dopo più di quattro ore di panico, è stato bloccato tramite telenarcosi e, probabilmente a causa dell’effetto del sedativo, ha avuto un arresto cardiaco ed è morto. Una vita stroncata proprio nel momento in cui ha tentato di esprimersi nel suo più profondo e radicale malessere.

Inutile dire quanto queste fughe possano costituire una fonte di pericolo sia per gli animali che per le persone: giraffe, elefanti, tigri o ippopotami, soprattutto se in preda al panico, rappresentano un grande problema in un ambiente cittadino. Nel rapporto del 2017 sui circhi dell’Eurogroup for Animals sono stati registrati nella sola Unione Europea circa 305 incidenti, in 22 anni, con più di 600 animali selvatici coinvolti.

C’è poi chi non fugge ma attacca: casi di domatori aggrediti,feriti o peggio, proprio durante le esibizion,i non sono infatti rari. È del maggio 2017, infatti, la notizia di un leone che, durante un’esibizione in un circo in Francia, davanti ad una platea di adulti e bambini, ha attaccato e facilmente sopraffatto il suo domatore che si è salvato grazie all’intervento degli assistenti. Analogo il destino di uno dei figli di Moira Orfei, Ones Orfei, aggredito da una tigre del suo circo nel 2006 a Cosenza (http://www.repubblica.it/2006/07/sezioni/cronaca/tigre-orfei/tigre-orfei/tigre-orfei.html) che ha ferito lui e poi, ha attaccato un suo collaboratore che, purtroppo, non ce l’ha fatta. Un copione che si ripete, come accaduto nel 2009 a Torino, dove nel bel mezzo di un’esibizione con una tigre, quest’ultima ha attaccato il domatore, prima alla spalla e poi al costato, gettando nel panico l’intera platea (https://www.lastampa.it/2009/12/05/cronaca/tragedia-sfiorata-al-circo-orfeitigre-azzanna-il-figlio-di-moira-XBPemkk8y1xuoVP31nUZOJ/pagina.html). Una bella rivincita questa, simbolica oltre che materiale: in uno spettacolo volto alla messa in scena del potere dell’umano sull’animale feroce, dove le fiere vengono domate e gestite come teneri giocattoli, la rabbia selvatica può sempre prendere la sua rivincita, perché, proprio come per la fuga, si può provare a schiacciare e debellare una vita animali in ogni modo possibile, ma un barlume di resistenza, ci sarà sempre.

È a questo barlume che vogliamo dare risalto, nella speranza che queste storie rimangano solo un triste ricordo del passato e che accendano la miccia della rivolta, questa volta nostra e solidale con le loro, perché, come diceva Gandhi “Non esiste una libertà lenta. La libertà è come una nascita. Finché non siamo pienamente liberi, siamo schiavi. Si nasce tutto in un momento”.