Caccia, cani, fucili e natura” sono i primi quattro link che balzano all’occhio su www.bighunter.it, uno dei tanti siti interamente dedicati alla caccia e a tutto il mondo che gli gravita attorno.
Un accostamento di termini che stride a prima vista, poiché nemmeno un bambino nel gioco delle associazioni accosterebbe concetti così distanti come “natura e cani” con “caccia e fucili”.
Del resto, non c’è da stupirsi, perché navigando anche solo per qualche minuto su questo sito non si può fare a meno di notare come nella mente dei cacciatori vi sia una visione completamente distorta della realtà e della natura, vista unicamente come elemento da assoggettare con la violenza e dominare a proprio piacimento.
Nonostante in tanti articoli pubblicati si inneggi all’incanto e al fascino della natura, non riusciamo proprio a capire che tipo di bellezza possa contemplare un cacciatore quando spara ad un essere indifeso vedendolo agonizzare davanti ai suoi occhi.
Un sadismo mascherato da parole come “passione per gli animali” e “amore per l’ambiente” (espressioni che ricorrono continuamente nel vocabolario dei cacciatori), ma che rivela il suo vero volto con la carneficina che si ripete ogni anno durante la stagione venatoria. Una violenza e una brutalità che non si scaglia solo nei confronti degli animali selvatici, ma anche verso tantissimi cani impiegati nelle battute di caccia, anime invisibili che soffrono nell’ombra e troppe volte muoiono tra atroci sofferenze.
Razze da ferma, da seguita, da cerca, da riporto e da tana”: scelti solo in base alle loro caratteristiche fisiche, come velocità, forza, resistenza, olfatto, i cani da caccia devono rispondere unicamente “agli standard morfologici e di lavoro” per cui sono allevati e qualora vi sia qualche esemplare che non esegue correttamente il compito per cui è stato selezionato, viene considerato “difettato”, al pari di un prodotto di fabbrica malriuscito. La scelta del cane da parte dei cacciatori non è certo dettata dall’intento di trovare un compagno di vita e instaurare una relazione affettiva con lui, ma soltanto da una logica funzionale ai loro obiettivi sanguinari, ossia l’aiuto nella cattura e uccisione della preda. Non a caso lo stesso appellativo che usano per designare i loro cani, chiamati “ausiliari”, è emblematico del rapporto puramente strumentale che instaurano con loro. A titolo esemplificativo della considerazione loro riservata, riportiamo sempre dal sito www.bighunter.it l’agghiacciante risposta del consulente cinofilo alla richiesta di un consiglio da parte di un cacciatore che non sa come “correggere” la sua setter inglese, che “dà problemi nel riporto della selvaggina”: “Egregio Sig. Luigi, mi scuso della brutalità di quanto devo dirle: quello della sua setter è uno dei più brutti difetti che può avere un cane da caccia. Per questo le consiglierò quanto nel tempo è risultato funzionale, anche se molto criticato. In una zona chiusa o recintata, faccia riportare a comando qualcosa, eventualmente premiando l’azione, poi sostituisce l’oggetto con una quaglia fredda e avvolta con una specie di cintura di cuoio o elastico, munita di due o tre file di punte. Se il riporto, anche di malavoglia, viene effettuato, va premiato. Se invece c’è un rifiuto, si lega il cane e si riaccompagna nel box, privandolo per tutta la giornata della abituale razione di cibo. Persistendo il difetto, si ripete la lezione e il digiuno fino ad ottenere un riporto decente, che verrà ovviamente premiato”.
Non solo emerge una visione del cane come un semplice oggetto da manipolare a proprio piacimento, ma si consiglia addirittura una forma coercitiva e punitiva di addestramento che arriva a violare dei bisogni primari dell’animale, come quello di alimentarsi e di muoversi liberamente. Costretto ad asservire il volere del cacciatore, il cane viene premiato quando risponde al comando previsto, ma punito con privazione di cibo, reclusione e isolamento sociale quando non esegue il compito assegnato.
Bastoni, aculei nelle prede (quaglie o lepri appositamente ferite o uccise per l’addestramento) e anche collari elettrici sono tutti strumenti ritenuti legittimi per indurre il cane ad eseguire il suo lavoro. Particolarmente cruenta la pratica dello scontro diretto con la preda, usata con le razze selezionate per la caccia al cinghiale: rinchiusi in piccoli recinti, senza alcuna via di fuga, i cani vengono costretti a braccare dei cinghiali, che catturati spesso insieme ai loro cuccioli, sono forzati anch’essi a difendersi in un combattimento feroce. E proprio nella lotta con i cinghiali molti cani riportano ferite talmente gravi da morire o essere abbattuti dagli stessi cacciatori se non li ritengono soggetti particolarmente validi per cacciare. Piuttosto che spendere soldi per curarli, preferiscono ucciderli. I cuccioli e gli adulti principianti vengono inoltre portati sul campo d’addestramento insieme ai cani più esperti per abituarli al rumore assordante del colpo di fucile e, per lo spavento, molti cani spesso scappano, perdendosi tra boschi e campi, mentre chi non supera la paura dello sparo viene scartato.
L’elevato grado di stress e il condizionamento cui sono sottoposti i cani non si esaurisce solo nella fase di addestramento e nelle battute di caccia, dove tante volte rimangono feriti dagli stessi cacciatori, ma continua anche al termine della stagione venatoria, quando da febbraio ad agosto, sono tenuti “a riposo”. Rinchiusi in piccoli serragli, costretti a giacere tra i loro stessi escrementi, con poca acqua e cibo razionato: come rivelano moltissimi casi di sequestri effettuati dalle Guardie eco zoofile dell’OIPA, le condizioni di detenzione di tanti cani sfruttati per la caccia sono incompatibili con le loro esigenze etologiche e causa di gravi sofferenze. Un trattamento che non risparmia nemmeno i soggetti più anziani o malati, che anzi, diventando un peso, vengono spesso relegati all’interno di casolari di campagna isolati, garage o magazzini, come accaduto a Camilla, anziana breton di circa 16 anni liberata lo scorso giugno dalle guardie eco zoofile dell’OIPA di Ancona.
Reclusa da anni all’interno di un magazzino con le finestre oscurate, tra spazzatura, feci e urina, Camilla viveva in condizioni di totale degrado, abbandonata a se stessa in completa solitudine. Stessa sorte toccata a Billy, un epagneul breton di 11 anni, sequestrato anch’esso dalle guardie dell’OIPA di Ancona. Segregato da anni in un casolare abbandonato e pericolante, era recluso al buio giorno e notte, circondato dalle proprie feci e da una quantità indefinita di rifiuti e detriti di vario genere.
Quando ritenuti non idonei a cacciare, molti cani vengono abbandonati in canili o in strada, come testimoniano i tantissimi ritrovamenti dei volontari dell’OIPA di cani di razza setter o segugi recuperati denutriti, spesso feriti o addirittura in procinto di partorire.
Oltre ad incentivare l’allevamento e la vendita di cani di razza, alimentando un circuito commerciale che sfrutta gli animali solo per trarne profitto economico, la follia del mondo venatorio sfama anche il mercato illegale visto che sono tantissimi gli allevamenti abusivi in cui si imbattono le guardie dell’OIPA nei loro controlli, come quello sequestrato lo scorso marzo a Roma, dove undici cani malati, gravemente denutriti e pieni di parassiti, di cui una femmina in avanzato stato di gravidanza, erano detenuti per la riproduzione e la vendita in una struttura fatiscente ed abusiva, tra montagne di feci e urina, senza cibo né acqua.
Visto lo stato di estrema sofferenza patita da tanti cani che hanno vissuto come schiavi senza mai conoscere l’affetto né la dolcezza di una carezza, non possiamo che concludere questo viaggio in un mondo infernale invitandovi ad un gesto carico di grande positività, come quello dell’adozione, che può davvero riscattare tutti gli anni di vita che un cane ha perso dietro le grate di un fetido box.
Qui alcuni cani salvati da questo mondo, in attesa del lieto fine:
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