Quanto sappiamo realmente dei pesci? Forse meno di quello che crediamo. Siamo abituati a vederli come cibo o, al massimo, come complementi d’arredo, dimenticandoci che anche loro sono esseri viventi e, quindi, degni di rispetto. Tra tutte le specie, quelle acquatiche sono le meno considerate, anche nell’ambito della lotta per i diritti degli animali. Ma oggi, in occasione della Giornata per la fine della pesca 2025, la nona edizione del World day for the End of Fishing and Fish Farming, abbiamo cercato di capire di più sugli abitanti del mondo marino con la dottoressa Francesca Lavarini, biologa specializzata in Antropologia ed Etologia.

Il comportamento dei pesci

I primi studi relativi all’etologia dei pesci sono abbastanza recenti, ma abbiamo già appreso quanto basta per definire i pesci soggetti, quindi individui in grado di ragionare e provare emozioni. “Al contrario di quanto si pensa – chiarisce la biologa – alcuni di loro hanno una grandissima memoria e si ricordano quali sono i luoghi più sicuri in cui vivere meglio, trovare cibo e poter procreare. I pesci tra di loro sono molto solidali, tendono a unirsi in gruppi per sfuggire dai predatori e hanno la tendenza a comunicarsi le informazioni, anche da generazione in generazione e tra specie diverse. Tramite alcuni suoni, ad esempio, si avvertono a vicenda della presenza di un pericolo“. Tutto ciò, però, può cambiare se il loro habitat diventa un allevamento.

Come vivono i pesci in allevamento

In allevamento la solidarietà che caratterizza i pesci in mare aperto viene meno – spiega Lavarini. – Costretti in spazi ristretti, gli individui competono tra di loro per accaparrarsi il cibo, mentre, al contrario, si avvicinano e instaurano un rapporto di fiducia con l’essere umano di riferimento, di solito quello che dà loro da mangiare. Proprio per questo quando vengono catturati da quello stesso uomo che li ha nutriti percepiscono un senso di tradimento“.

Anche a livello di salute, gli allevamenti non sono, in genere, ambienti propriamente salubri. “Molti pesci che vivono in allevamento, i salmoni in particolare, si ammalano molto frequentemente – precisa la biologa – sia perché sono delicati e sia perché, a causa delle vasche sovraffollate, si feriscono tra loro con estrema facilità. Una volta feriti, non è detto che vengano curati, con il rischio di infettare gli altri individui. Se il pesce malato scappasse in mare aperto ci sarebbe anche il pericolo di contagio nell’ambiente esterno“.

La paura della cattura

Nonostante gli studi siano ancora relativamente pochi in materia, sappiamo che gli allevamenti intensivi possono causare dolore e stress anche sulle specie ittiche. Come tanti altri animali, se chiusi in cattività e in condizioni contrarie al loro benessere, anche i pesci possono provare forte sofferenza e mettere in atto comportamenti anomali. “Nei pesci in allevamento si può notare, ad esempio – spiega Lavarini – l’abitudine a girare in tondo incessantemente, cosa che non avviene in libertà. Si è dimostrato, inoltre, che sono in grado di provare grande paura nel momento della cattura. Cercano in tutti i modi di scappare e, nel tentativo, possono ferirsi“.

I pesci, quindi, soffrono, sia nel momento in cui vengono estratti dall’acqua, per poi morire di asfissia, sia quando vengono pescati con l’amo. “In quell’istante – conclude l’esperta – alcuni pesci emettono un suono particolare per “avvisare” i loro compagni del pericolo imminente. La loro solidarietà e il loro spirito di gruppo si vedono anche da questo. Come si possono definire non senzienti questi soggetti?“.