di Isabella Dalla Vecchia
Può mancare il presepe, la neve, qualche regalo che si desiderava tanto, ma l’albero no. Quello non può mancare. Senza di lui non sarebbe un vero Natale. Ma poi l’incubo, giunge silenziosa la notte e con essa il suo acerrimo nemico: il gatto. Non sa resistere, proprio non ce la fa e una, due, tre, le palline iniziano a cadere e con esse a volte rotola anche l’albero.
Perché i gatti sono così tanto attratti dagli alberi di Natale?
“L’Abete” è il titolo di una favola di Hans Christian Andersen in cui viene narrata la storia di un albero portato via dal bosco, addobbato come un re per Natale, per essere spogliato dai bambini e subito dopo lasciato per sempre in una soffitta buia. È una storia molto triste, ma questo non sorprende, Andersen dopotutto la notte di Natale fa morire la piccola fiammiferaia. Ma sarà nella soffitta in cui l’albero troverà dei veri amici, degli allegri topolini. Ecco spiegato l’arcano: l’albero è dunque amico dei topi e dunque nemico dei gatti!
A parte gli scherzi, la soluzione è fin troppo semplice, è chiaro che il gatto non resiste alle decorazioni penzolanti e alle palline sospese in aria, che diventano un irresistibile parco giochi e il fusto un allenamento per la scalata. A poco servono i nostri rimproveri, lui continuerà a giocarci. Eppure forse esiste un motivo ben più antico, un legame fin dalle origini, che potrebbe giustificare questa attrazione fatale, alla quale nessun gatto, anche il più pigro, è risparmiato.
L’emblema della fertilità
L’albero di Natale è l’emblema del benessere e della fertilità e per questo ricorda l’albero della cuccagna, un palo eretto nella piazza centrale di alcuni borghi e viene scalato per far cadere del cibo dalla sua sommità. Sono feste ancora celebrate in molti paesi durante la primavera, per richiamare un nuovo anno ricco di abbondanza. E il centro del paese non è certo casuale: l’albero della vita come albero cosmico che cresce al centro dell’universo e diffonde le sue radici nel cielo, è alla base di molti culti antichissimi che vanno dall’Europa all’Asia settentrionale.
Il nostro albero di Natale, anche se un po’ in anticipo nei confronti della primavera, non è da meno: viene festeggiato poco dopo il solstizio d’inverno (21 dicembre) dopo il quale le giornate iniziano progressivamente ad allungarsi. Questa festa era già esistente all’epoca romana con il nome di Dies Natalis Solis Invicti ovvero “Giorno di nascita (Natale) del sole non vinto”. Un Sole “invitto” non sconfitto dalle tenebre dell’inverno, che rinasce per illuminare il nuovo anno. Una rinascita omaggiata dal nostro luminoso, colorato e ricco abete sempre verde. Perché se gli altri alberi sono spogli in pieno inverno, l’abete non perde mai le foglie, resistendo alla lunga stagione invernale.
[cs_quote column_size=”1/1″ quote_cite_url=”#” quote_text_color=”#a420c9″ quote_align=”center”]Ed ecco il nostro primo punto in comune: la fertilità, che da sempre identifica i gatti che accompagnavano spesso divinità femminili legate alla fecondità come Artemide, Iside e Freya, in quanto il gatto manifesta esplicite effusioni d’amore, è molto fecondo e ama come nessun altro.[/cs_quote]
L’albero del Paradiso
Ma chi ha effettivamente inventato l’albero di Natale? Non sappiamo chi ha piantato il primo seme dando origine ad una tra le tradizioni più seguite al mondo. Sembra che l’inizio si possa ricondurre al Cinquecento in Germania e nei Paesi scandinavi e ciò non sorprende, data la mania e la particolare attenzione per l’oggettistica natalizia del nord Europa. Dopotutto in Baviera esiste il famoso Käthe Wohlfahrt, un villaggio dove è Natale tutto l’anno. Forse un silenzioso appello alla propria paternità natalizia? Eppure l’albero come elemento sacro è sempre esistito, legato al sacrificio, perchè si spoglia totalmente per donare i suoi frutti. Frutti appetitosi che attirano l’uomo in una notte povera, fredda, quasi priva di vita. Un frutto a cui tendere la mano: ricorda forse qualcosa? Certo, è l’albero della conoscenza del bene e del male del paradiso terrestre, e non è un caso se il primo nome con cui veniva chiamato l’abete di natale soprattutto in Germania, era proprio “Albero del Paradiso”, perché era sempre pieno di doni. Eva che coglie il frutto dall’albero sempre verde dell’Eden, ben ricorda ciò che facciamo con il nostro abete, al quale nel passato venivano appese mele, altri frutti o palline comunque rotonde.
[cs_quote column_size=”1/1″ quote_cite_url=”#” quote_text_color=”#a420c9″ quote_align=”center”]Il gatto attratto senza riserbo dal coglierne a sua volta i frutti, o quantomeno da farli cadere, è da sempre legato al femminino sacro e dunque a dee, sciamane, sante, streghe, oltre che alla stessa Eva, prima femmina dell’umanità.[/cs_quote]
Luci come stelle
Ma c’è un ultimo elemento che non torna: le luci di Natale. Perché fin dalle prime decorazioni quali uova, nocciole, cialde, uva passa, biscotti c’erano anche le candele? Oggi sostituite dalle lucine elettriche, abbastanza pericolose perché particolarmente attraenti per i gatti che potrebbero tirar fuori i fili elettrici e magari masticarli.
Accadde che una notte della Vigilia, per rientrare a Wittemberg, Lutero dovette percorrere un bosco innevato. Il luogo era incantevole e si fermò a lungo a contemplarne il fascino. Fu però incuriosito dalle strane luci che sembravano muoversi tra i rami alti degli alberi e non si spiegava da dove provenissero. Sembravano sfere di luce che forse immaginava a causa del freddo e della stanchezza. Stropicciando gli occhi svelò il mistero e vide che erano semplici stelle. Tornando a casa desiderò ardentemente riprodurre la magia del luogo applicando le stesse luci sui rami del suo abete di Natale. E per farlo gli venne in mente di appoggiare alcune candeline. Un episodio apparentemente banale che ha cambiato universalmente il suo aspetto: nessun albero è lo stesso senza le luci di Natale. Il tronco aveva un valore sacro e capitava di svolgere alcuni rituali profetici legati all’anno che stava per arrivare. Uno tra i più conosciuti avveniva questa volta non solo in Germania, ma anche in Italia e consisteva nel bruciare per 12 notti consecutive un ciocco dell’albero, chiamato “ceppo natalizio” come evocazione del Sole che “restava acceso” per 12 mesi. Occorreva farlo bruciare lentamente affinchè mai si spegnesse, se ciò accadeva, i giorni in cui non bruciava, sarebbero stati mesi infausti, privi di sole.
[cs_quote column_size=”1/1″ quote_cite_url=”#” quote_text_color=”#a420c9″ quote_align=”center”]Chissà, forse è proprio il richiamo al bosco ad attrarre tanto i mici, che tutto sommato conservano nell’intimo un cuore selvatico e notturno.[/cs_quote]
Ho parlato di albero di natale e gatti, ma vorrei ricordare che questo indispensabile elemento del periodo natalizio (non è un vero Natale senza abete) rappresenta un centro aggregatore di uomini e animali, perché a Natale tutte le strade conducono a casa e tutte le case portano all’albero di Natale. Un’antenna energetica che raccoglie affetto, speranza e gioia e li rilascia in un caldo abbraccio verso tutti, ma proprio tutti. Buon Natale.