La crisi climatica ha conseguenze devastanti sugli animali, colpendo il loro habitat, la disponibilità di cibo e le loro capacità di adattamento. Stravolge, ad esempio, il periodo della migrazione dell’avifauna, che in alcuni casi, come in Italia, può coincidere con la stagione venatoria ancora attiva.
Recentemente, sul sito della Nordic Society OIKOS è stata pubblicata un’analisi basata su 196 studi relativi alle conseguenze del cambiamento climatico sugli animali.
Questa meta-analisi evidenzia che gli animali selvatici, in particolare, fanno molta fatica ad adattare il loro comportamento alla crisi climatica.
Lo studio ha analizzato i dati comportamentali di oltre 100 specie di animali (uccelli, pesci, crostacei e mammiferi), concentrandosi sulle risposte comportamentali a cinque fattori del cambiamento ambientale (cambiamento climatico, variazioni della CO₂, impatto umano diretto, modifiche nei nutrienti e negli scambi biotici) in cinque ambiti comportamentali (aggressività, esplorazione, attività, audacia e socievolezza), con un focus particolare su pesci e uccelli (fonte: https://nsojournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/oik.08366).
Nell’introduzione dello studio si precisa che «Attualmente, il rapido cambiamento ambientale indotto dall’uomo (HIREC) sta esponendo gli organismi a nuove pressioni selettive molto diverse da quelle sperimentate in passato (Lowry et al. 2013)».
Inoltre, viene specificato che i cinque domini comportamentali sopra citati sono diventati centrali nella moderna ricerca sull’ecologia comportamentale (Réale et al. 2007).
Tra i risultati dello studio emerge che la crisi climatica ha fortemente ridotto la capacità degli animali di esplorare nuovi habitat: gli animali tendono a rimanere nell’ambiente in cui già vivono, anche in presenza di scarsità di cibo, senza cercare nuove risorse.
Per i pesci, invece, è stato registrato un aumento dell’aggressività, dovuto alla riduzione della disponibilità d’acqua nel periodo riproduttivo. A livello europeo, sono stati adottati provvedimenti per incrementare le zone umide, che risultano fondamentali anche per l’avifauna durante le soste migratorie.
Inoltre, fenomeni come lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e l’urbanizzazione riducono gli areali di molte specie (l’areale è l’area geografica in cui è distribuita una specie animale).
Particolare attenzione va posta agli incendi. In Italia, nel 2024, ben 45.783 ettari (ovvero 457.830.000 metri quadrati) sono andati in fumo, di cui 88.900.000 metri quadrati erano area boschiva (fonte: ISPRA). Si stima che saranno necessari circa 80 anni affinché queste aree possano tornare al loro stato originario.
La maggior parte degli incendi è causata dall’uomo, un problema che si verifica in tutto il mondo. Basti pensare all’Amazzonia, il polmone verde del pianeta, dove solo nel 2024 – anche a causa della siccità conseguente alla crisi climatica – sono stati bruciati 308.000 chilometri quadrati di foresta, con un aumento del 79% rispetto all’anno precedente. Complessivamente, vi sono stati 30.000 roghi.
Come è ormai noto, la principale causa degli incendi nella foresta amazzonica è l’attività umana: vaste aree vengono distrutte per incrementare le coltivazioni destinate alla produzione di mangimi per gli allevamenti intensivi. Questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza di adottare una dieta cruelty-free, ovvero veg*.
Gli effetti della crisi climatica sugli altri animali
